25 MARZO: CELEBRAZIONE DEL DANTEDÌ


“E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Questo è l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia. Nella sua opera, Dante Alighieri pronuncia la suddetta frase una volta uscito dalle tenebre infernali, con l’auspicio di intraprendere un nuovo cammino di speranza e di luce. Per quanto metafora della vita e della resilienza umana, questa frase, oggi più che mai, è perfettamente paragonabile all’odierna situazione dell’era del Covid-19: tutti noi, come il Sommo Poeta, vogliamo uscire a rivedere le stelle per augurarci un rinnovato ritorno al passato, alla normalità quotidiana.

Ed è proprio Dante a infonderci nell’animo la fiducia, a nutrirci di speme, lo stesso poeta fiorentino che ogni 25 marzo festeggiamo con una giornata nazionale a lui dedicata, il Dantedì. La data, secondo gli intellettuali e i critici, è la stessa in cui l’autore fiorentino inizia il suo viaggio smarrendosi nella selva oscura a cavallo del 1300.

La ricorrenza è stata istituita solo l’anno scorso, nel 2020, dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Cultura, Dario Franceschini. Lo stesso ministro afferma che “Dante è l’unità del Paese, Dante è la lingua italiana, Dante è l’idea stessa di Italia”. Il Poeta infatti non solo è simbologia di identità nazionale, ma nelle stesse sue Cantiche, precisamente in ogni sesto canto di Inferno, Purgatorio e Paradiso, serba un resoconto della situazione politica territoriale, identificandosi come un sentito cittadino critico alla ricerca della giustizia e della moralità rispetto alla quale non riesce a cedere.

Quella di Dante è un’opera universale che supera il tempo, sempre e in ogni momento attuale, sia per la parte sentimentale ed emotiva che per quella sociale, con insegnamenti e metafore che vanno ben oltre la sola lettura superficiale di un poema. Proprio in occasione del Dantedì si è espresso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che omaggia il poeta fiorentino esortando la sua coerenza come esempio per tutti noi. Il Presidente risponde anche al paragone tra la pandemia e l’Inferno dantesco, spezzando una lancia in favore dell’etica e della morale a cui stiamo assistendo ogni giorno e sottolinea che “in questa emergenza abbiamo tutti riscoperto, al di là di tanti e ingiusti luoghi comuni, il grande patrimonio di virtù civiche solidarietà, altruismo, abnegazione che appartiene da sempre alla nostra gente“.

Ma, nonostante i tanti omaggi al Sommo Poeta nella giornata dedicata alla sua commemorazione, le critiche non si sono fatte attendere. Ad irrompere nel clima di esortazione e di celebrazione è un giornalista tedesco della Frankfurter Rundschau, Arno Widmann, che definisce immeritata la fama dell’autore fiorentino. Widmann sferra una serie di attacchi a Dante e alla sua opera: dalla favoletta, a detta sua, che la lingua italiana derivi dalla Divina Commedia, al peccato di superbia su cui Dante stesso è caduto sentenziando le anime e i loro destini: Widmann infatti dice che “non è stato Dio, ma Dante stesso che si è innalzato a giudice supremo”. Infine, l’accusa di plagio: nella tradizione musulmana era già descritto il viaggio di Maometto in Paradiso, che Dante avrebbe copiato, secondo il giornalista.

Alle dure critiche sferrate al nostro amato Dante Alighieri, ci sentiamo di rispondere e di concludere allo stesso modo con cui il sopra nominato ministro Franceschini ha risposto, ovvero citando lo stesso poeta d’Italia “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa (Inferno III, 51)”.





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